Il progetto “Atleti al tuo fianco”, guidato dal dottor Alberto Tagliapietra, medico chirurgo di Montichiari con DAF in psico-oncologia e patrocinato dalla associazione Arenbì Onlus, lancia una sfida culturale: possono sportivi professionisti far sentire la propria vicinanza a chi sta lottando contro il cancro parlando di come nella vita affrontino la propria quotidianità, le sfide e gli avversari difficili dentro e fuori dal campo, gli infortuni e altri aspetti particolari del proprio lavoro? Oggi ha raccolto la sfida Antonio Filippini, che nella vita ha fatto il calciatore vestendo in serie A e B le maglie di Brescia, Palermo, Lazio, Treviso e Livorno giocando in carriera più di 600 partite. Oggi di lavoro fa l’allenatore di calcio e ha appena concluso la stagione guidando il Lumezzane alla salvezza in Lega Pro.
Antonio, grazie di aver accettato di scendere in campo con noi in questa sfida. Presentati al pubblico che sta leggendo raccontandoci qualcosa di te: chi è Antonio Filippini in tutto ciò che non è il calcio?
“Mi chiamo Antonio Filippini, ho 42 anni e vengo da Urago Mella, un quartiere alle porte di Brescia; fin da bambino ho tirato calci al pallone, ma nella mia vita fuori dai campi di calcio, la musica è sempre stato l’elemento dominante: suono la chitarra e canto, mi piace molto anche andare ad assistere a concerti rock. Ho calcato tanti palcoscenici suonando spesso per beneficenza, perché trovo sia importante occuparsi in qualche modo del prossimo, e a me è parso naturale farlo attraverso la musica. Senza dubbio, nella mia vita calcio e musica sono andate di pari passo.”
Oggi cerchiamo insieme analogie tra ciò che hai vissuto e vivi nella tua carriera e gli elementi che è costretto ad affrontare un percorso oncologico, per aprire spiragli e per sensibilizzare le persone sul tema tumori e divulgare informazioni di aspetto clinico e psiconcologico sul cancro. Parto da un aspetto importante nella vita quotidiana di chi ogni giorno ha una sfida in corso con la malattia. Chi lotta contro un tumore, alcune volte si trova a combattere contro i segni di non miglioramento, dovendo poi essere aiutato a cercare dentro di sé i metodi migliori per reagire a queste situazioni difficili. Nella tua vita da calciatore ad ogni inizio stagione, tu venivi messo in discussione e spesso nei pronostici di formazione ideale figuravi in panchina; a fine anno poi eri quasi sempre uno dei giocatori ad aver totalizzato più presenze, ribaltando le aspettative di inizio stagione. Qual è stato l’elemento che hai fatto scattare nella tua testa per riuscire a lottare ogni anno con questa rimessa in discussione?
“La mia caratteristica principale era la perseveranza, dentro e fuori dal campo: in quei casi la prima cosa che focalizzavo nella testa era la mia forza, dovevo essere consapevole del mio valore e su quali mie caratteristiche dovessi puntare. Una volta fissato questo, nella mia testa suonava la frase “Adesso ti faccio vedere io di che pasta sono fatto”, non ci stavo ad essere considerato meno di quel che valessi ma sapevo che solo rimboccandomi le maniche potevo raggiungere determinati obiettivi. La cosa difficile è stato riuscire a farlo ogni giorno, io ho sempre cercato di alimentarmi questa frase nella testa, come un mantra. È solo grazie a questa voglia di mostrare il mio valore che ho potuto giocare più partite e minuti di molti miei compagni considerati anche più forti di me.”
Una situazione che è importante un malato di cancro impari a gestire per non farla diventare dilaniante è l’attesa di un referto: spesso capita infatti che ci possa essere un prelievo di una porzione di tessuto corporeo che viene mandata ad analizzare e il paziente deve attendere del tempo per conoscere l’esito della valutazione di quel campione di cellule. Alcune volte le opzioni alternative che possono scaturire da quel referto sono determinanti, e l’attesa diventa un nemico da imparare a gestire attraverso la psico-oncologia. Nella tua vita sportiva, come hai gestito i momenti che ti separavano da un appuntamento importante, da un evento il cui risultato diventava decisivo per un’intera stagione?
“Nella settimana che mi separava da una partita determinante, di quelle da vincere ad ogni costo, ho sempre cercato di contenere l’impeto emotivo provando a dare valore alle cose che abitualmente facevo anche senza un appuntamento tanto importante. La finalità non è di ingannare la mente, bensì difenderla dalle insidie della paura di ciò che stai aspettando, perché le energie che avresti consumato nell’angoscia sono in realtà energie importanti da utilizzare nel corso della sfida che ti attende. Certo che in determinati momenti la tensione si fa sentire, ma è proprio in quegli istanti che serve prendersi cura del proprio animo, imparando a dargli i ritmi a cui è abituato, per permettergli di distendersi. Quando sono riuscito ad attuare questa procedura, le mie prestazioni sono poi state molto positive.”
Nella tua lunga carriera da calciatore, hai spesso indossato la maglia di squadre che lottavano per la salvezza, che spesso scendevano in campo contro avversari più forti e dovevano lottare con tutte le proprie energie per strappare un punto e proseguire la propria battaglia verso il sudato traguardo. Ti è mai capitato di vivere un momento di una stagione in cui tutto sembrava compromesso e invece una situazione inaspettata vi ha poi permesso di salvarvi?
“Quando giocavo al Brescia, ci fu una stagione molto particolare, quella del 2001/’02; iniziammo bene il campionato, con diverse vittorie e una posizione di classifica tranquillissima. Successivamente, una serie di eventi nefasti si susseguirono l’uno con l’altro: si infortunò gravemente Roberto Baggio, che era senza dubbio il nostro punto di riferimento calcistico e carismatico, Pep Guardiola, altro leader del gruppo, venne squalificato per una positività all’esame antidoping, un incidente stradale strappò alla sua famiglia e a tutti noi un ragazzo straordinario come Vittorio Mero. Tutti questi eventi, compresa l’assenza prolungata di altri giocatori determinanti come Bachini, non solo penalizzarono i nostri risultati, ma inflissero una vera e propria mazzata al nostro morale e alla fiducia verso il nostro percorso. Ricordo che un giorno negli spogliatoi ci guardammo dritti negli occhi e capimmo, io e tutti gli altri, che di fronte all’accanimento degli eventi non avremmo dovuto rispondere da calciatori ma da uomini. Da quel momento riuscimmo a risalire la classifica e, partita dopo partita, guidammo alla salvezza la squadra, dedicando quell’impresa a Vittorio Mero. Dopo quell’esperienza mi sono convinto ancora di più che quando una persona crolla e magari tocca il fondo della propria certezza e fiducia verso gli eventi, pur nella difficoltà e nella sensazione che tutto le sia avverso, è lì che questa persona può trovare la forza di reagire, di capire di partire da se stessa per farlo: la forza di reazione è una caratteristica della natura umana ed è un elemento estremamente potente, ma è chiaro che in quanto reazione è forzatamente conseguente ad un’avversità. La consapevolezza che un momento di estrema difficoltà possa presentarsi è importante, anche quando le cose vanno bene: bisogna sempre cercare di fissarsi in mente il proprio obiettivo finale perché si possano trovare le forze per raggiungerlo anche quando sono proprio le forze stesse che sembrano venire meno.”
Alcune volte nel percorso clinico di una persona ammalata di tumore, si entra in relazione con diversi medici; può succedere che un paziente richieda un secondo consulto perché ha la sensazione di non essere seguito in maniera ottimale da chi ha in carico le sue cure o per avere la certezza di star compiendo il percorso più adatto a combattere la sua malattia. Tu quest’anno da allenatore hai vissuto l’esperienza di essere chiamato a guidare la squadra di calcio di Lumezzane dopo che altri due allenatori sono stati allontanati perché i loro risultati sono stati ritenuti non all’altezza delle aspettative, e da calciatore spesso hai vissuto la sostituzione dell’allenatore nella squadra in cui stavi giocando. Qual è la caratteristica secondo te più importante per entrare in relazione con persone che intravedono in te una guida per dar loro sicurezza e serenità dopo un percorso di dubbio?
“In questi casi secondo me è importante prima di tutto capire cosa sia stato fatto fino a quel momento prima del tuo ingresso in spogliatoio, a quali ritmi la squadra sia abituata, su che tipo di lavoro abbiano concentrato la loro attività fino a quel giorno: un allenatore quando subentra deve capire tutta la situazione a 360 gradi. Sotto il profilo mentale, secondo me è importante non bluffare: io quest’anno ho solo cercato di essere me stesso, di fare le cose semplici in maniera efficace cercando di trasmettere ai miei ragazzi sia tranquillità attraverso la sensazione di riuscire a fare le cose che venivano chieste, sia la sincerità della persona che si sono trovati davanti; il tutto va finalizzato a due-tre obiettivi primari, non di più, altrimenti si rischia di generare confusione. È molto importante poi come tu ti comporti da guida in quel determinato momento di difficoltà: devi trasmettere serenità, positività, far cogliere che i progressi si fanno un passo alla volta camminando con costanza e con il sorriso sulle labbra. La felicità che provi nel fare un percorso è determinante per farti raggiungere grandi traguardi.”
Quale caratteristica pensi di avere appreso osservando nelle tue esperienze personali da vicino chi stava combattendo contro un cancro?
“Una cosa che mi ha sempre colpito di chi affronta un tumore è che inevitabilmente viene messo a confronto con la propria vita, e con la paura che questa possa finire prima di quanto si augurasse; anche quando una persona dal tumore guarisce, credo che questo resti comunque un pensiero con cui ha fatto i conti. Ciò che mi ha colpito è quindi la capacità di rivalutare le azioni quotidiane, anche banali, che in altri momenti avrebbero avuto un valore minore. Ad esempio, ora sono qui a parlare di questo argomento e cerco di godermi questo istante come qualcosa di particolare e di unico; dopo vado a vedere mia figlia Martina che gioca a tennis e anche lì cercherò di prendere tutto il bello di un evento del genere, che se disperso nell’arco di una vita perde valore, ma se osservato come momento in sé acquista molto più significato”.
E se potessi con una bacchetta magica trasferire in chi sta fronteggiando un tumore una caratteristica di Antonio Filippini calciatore?
“Forse ci si aspetta che io dica la perseveranza e la resistenza, ma in realtà mi piacerebbe regalare a tutti questi grandi guerrieri la mia solarità, la mia positività: sono diventato famoso come un giocatore grintoso, che rincorreva tutti e correva per tutti, ma in realtà tutto questo riuscivo a metterlo in atto perché dentro di me mi sentivo sempre col sorriso sulle labbra, perché credo fortemente che i grandi traguardi possano essere raggiunti solo attraverso una grossa serenità interiore, che diventa strumento per te e per i tuoi compagni di sfida.”
Grazie Antonio, tu da oggi sei un atleta al fianco di chi sta sfidando il cancro e te ne siamo tutti grati.